caporalato

Esistono anche i campi

(da Fa Minore)

Buongiorno,

interrompo per un momento le “vacanze” per riprendere questo articolo comparso sul blog Fa Minore, articolo di cui condivido ogni parola

A questo link, l’originale

Buona lettura e, spero buona condivisione di intenti

Esistono ancora i campi

Finché la passata di pomodoro sarà messa in vendita a 70 centesimi al barattolo, il caporalato esisterà sempre e il lavoro agricolo sarà sempre sottopagato. Bisogna mangiare la metà, pagando il doppio.

di Michele Serra
Il Post, 24 giugno 2024

La sintesi di Oscar Farinetti – qualunque cosa voi pensiate di Oscar Farinetti – è un poco stentorea, ma impeccabile. Spiega strutturalmente (non emotivamente) perché le condizioni di lavoro nelle campagne ci appaiono spesso primitive e indecenti.
Spiega perché il bracciante indiano Satnam Singh, sottopagato come tanti, sia stato abbandonato come una carriola rotta dai suoi ignobili datori di lavoro, nemmeno una corsa in ospedale per cercare di ricucirlo e salvarlo, la stessa sottrazione di dignità umana che lo accompagnava nei campi lo ha accompagnato nell’agonia e nella morte.

Nel linguaggio dei media quelli come lui si chiamano “gli invisibili”, ma l’invisibilità è la condizione della filiera del cibo quasi per intero.
Solo il suo ultimo tratto – la vendita al dettaglio, la vetrina finale – è per definizione esposto, brillante di colori e di profumi, da qualche anno corredato (ed è già qualcosa) da etichette che indicano la provenienza, la scadenza, gli eventuali allergeni, a volte alcuni dei componenti. Il resto è rimosso, occulto, sconosciuto.

Passata di pomodoro industriale (marca cancellata)

I nostri avi, tra tanti evidenti svantaggi e afflizioni, conoscevano però quello che mangiavano: o perché lo producevano direttamente, o perché lo acquistavano a poca distanza da casa, quasi sempre da produttori noti.
Conoscevano il cibo come se fosse parte della famiglia e del territorio.
Ovvio (tanto ovvio che non so nemmeno se valga la pena scriverlo) che il mercato diffuso, la grande distribuzione, la globalizzazione di tutte le merci compresi i cibi, hanno avuto i loro grandi vantaggi. La rivoluzione agricola ha moltiplicato le quantità; la grande distribuzione ha favorito l’accesso di tutti, o quasi tutti, a una enorme varietà di prodotti, contaminando e arricchendo le culture alimentari locali.

Passata fatta in casa

Ma la quantità non è la qualità – almeno questo, della società di massa, avremmo dovuto capirlo, e farne un elemento basilare di ogni possibile analisi del nostro modo di vivere.
Montagne di cibo mediocre riempiono i carrelli dei frettolosi (ovvero di noi tutti). Non esiste etichetta che riporti il salario orario di chi ha curato o raccolto quel cibo.

Abbiamo imparato a fare un poco più di attenzione ai possibili veleni, additivi a rischio, coloranti non richiesti, possiamo orientarci tra bio e non bio, ma dei costi sociali di quello che mangiamo siamo completamente all’oscuro.
Se poi qualcosa costa poco, tendiamo a comperarne molta, di quella cosa. A farne provvista, come se alla guida del nostro carrello ci fosse ancora e sempre la fame ancestrale.
È il contrario esatto dell’esortazione di Farinetti: mangiamo il doppio pagandolo la metà. In tutto l’Occidente l’obesità è piaga dei poveri.

La proverbiale vicenda dell’“orto alla Casa Bianca” voluto da quella santa donna di Michelle Obama, e ovviamente subito espiantato dal nuovo inquilino, il bruto Trump, non ha niente di aneddotico, di pittoresco, di divertente: è politica allo stato puro. Ed è politica popolare, gesto simbolico per richiamare “il popolo”, tanto caro ai demagoghi miliardari come Trump, alla qualità del cibo, a ridiventare padrone del proprio metabolismo, una specie di “io sono mio” che parte dalla conoscenza di quello che ci si mette in bocca e in pancia.

Passata fatta in casa

La filiera del cibo, per quanto possibile, andrebbe considerata tutta assieme, dal campo fino al piatto.
pionieri come Carlo Petrini e Slow Food, che quella filiera hanno cercato, negli ultimi quarant’anni, di portarla “in chiaro”, sono attivisti politici che la superficialità mediatica ha trasformato in ghiottoni gaudenti, con la fissazione del cardo gobbo e del lardo di Colonnata.
Si sono occupati, eccome, anche della passata di pomodoro, anche di Satnam Singh, e da decenni convocano, a Torino, forse il più grande raduno mondiale di contadini, Terra Madre.
Ma Carlo Petrini, mio amico di una vita, mi ha sempre raccontato che i leader della sinistra gli telefonavano solo per chiedergli dove si mangia meglio, in giro per ristoranti e trattorie d’Italia.

Carlo, troppo gentile, li rimandava sempre alla guida Slow Food.
Avrebbe dovuto dire loro: “Quando hai finito, dopo il caffè, magari richiamami che ci diciamo due o tre cose sul lavoro nei campi”.
Compagni dai campi e dalle officine!”, si cantava in un tempo remoto. Un canto del Novecento che suona come un canto dell’Ottocento. In tempi recenti ci si sta accorgendo che non solo esistono ancora le officine. Esistono anche i campi. 

10 pensieri su “Esistono anche i campi”

  1. Condivido in pieno.
    Purtroppo siamo ancora in pochi a comprendere quale deleterio impatto ha sulla società e sull’ambiente questa politica scellerata messa in atto dall’industria alimentare e dalla grande distribuzione.
    P.S. Ne scrivo anche nel mio ultimo post “Usi e consumi”.
    Ahoj

  2. Il problema è che se non arrivi a fine mese è normale che compri le marche che costano meno.
    Costa di più farsi la passata che comprarla questo è certo.

    1. Chi non ha soldi er mangiare non ne ha nemmeno per curarsi, per vestirsi … ci deve essere un sostegno concreto. E questi sfruttati sono i primi a essere poveri, oltre che massacrati

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