Da genovese doc quale mi considero, mi è venuta voglia di raccontare un po’ la storia del pesto genovese, di quello che si sa di lui, e degli altri dignitosissimi pesti che esistono al mondo.
Mi chiedo: chissà quanti di noi, quando si siedono a tavola, spendono qualche attimo di attenzione davanti a quello che hanno nel piatto.
Mangiamo, giustamente, per necessità, e oggi mangiamo davvero, forse per la prima volta nella storia, secondo il nostro gusto: l’offerta alimentare è talmente varia e globalizzata che si confondono persino i prodotti di stagione.
Eppure quello di cui ci nutriamo è, sempre, storia e cultura.
Niente nasce per caso, e per quanto l’uomo abbia sempre avuto bisogno di alimentarsi per sopravvivere, è altrettanto vero che si è sempre ingegnato perché la mera sopravvivenza diventasse un momento di gustoso piacere.
Il pesto, e ce n’è più d’uno, è uno dei tanti alimenti di cui vale la pena conoscere la storia.
La parola, in sé, significa poco, significa qualcosa di pestato, generalmente nel mortaio.
Quando si parla di pesto, di solito si intende quello genovese.
Non è però, come si potrebbe pensare, una ricetta molto antica. Il primo a parlarne è stato Giovanni Battista Ratto, che lo racconta nel suo “La cuciniera genovese – La vera cuciniera genovese facile ed economica ossia Maniera di preparare e cuocere ogni genere di vivande”, edito nella prima metà del XIX secolo.
Si sa che la Liguria è, per conformazione geografica, una terra povera dal punto di vista agricolo, ma ricca di erbe spontanee e di prodotti che si accontentano di poco. Inoltre, il suo clima temperato, che non conosce le gelate e si mantiene mite tutto l’anno, oltre all’incontro stretto tra montagna e mare, regalano al raccolto profumi e sapori ricchi e particolari.
Il Pesto genovese deriva dall’aggiadda (agliata), una salsa composta solo da aglio pestato con aceto, olio d’oliva, sale e noci. Pare che il basilico sia stato aggiunto nel medioevo, da un frate che viveva sulle alture genovesi di Pra.
Dopo la citazione nel libro di Ratto, il pesto genovese acquista una sua celebrità, ma continua ad adattarsi ai tempi e agli scambi commerciali oltre che, a mio avviso legittimamente, al gusto personale di ogni famiglia, libera di modulare gli ingredienti secondo il gusto personale.
Oggi molti genovesi si indignano quando sentono parlare di pesto fatto con le noci al posto dei pinoli. In realtà, le noci erano (e potrebbero essere ancora) un’alternativa usata spesso e volentieri, soprattutto in un tempo in cui ci si doveva, diciamo così, accontentare di quello che c’era in stagione, non essendo ancora stati inventati i supermercati ..
Allargando i confini del pesto, si racconta che la non meno famosa versione trapanese affondi le sue origini nello scambio di ricette tra i marinai liguri e quelli siciliani. I primi hanno raccontato della loro “aggiadda”, e i secondi l’hanno adattato usando le loro specialità, pomodori e mandorle.
Oggi si prepara ogni genere di “pesto”, basta mescolare un’erba profumata con frutta secca e buon olio. Ma siccome nessuno usa più il mortaio, e prepara tutto nel frullatore, forse sarebbe più corretto chiamare “frullo” e non “pesto” questi esperimenti gastronomici ….
Mi piace ricordare che il pesto non nasce come piatto antispreco, per il semplice fatto che, fino a non molto tempo fa, non si sprecava niente! Ed è una ricetta vegetariana, che diventa vegana omettendo il formaggio (è buono lo stesso!)
Se volete leggere (o rileggere) una bella storia di famiglia, cliccate qui
Se volete solo la ricetta canonica del pesto genovese, cliccate qui
Se non avete voglia di prepararlo evitate, per favore, le versioni a lunga conservazione: molto meglio un “pesto” preparato con ingredienti meno canonici, ma di qualità e freschi!
Mi diverte il gioco di parole tra frullo e pesto . Io li amo tutti ma senza aglio dirò una bestialità ma non sopporto l’odore e il sapore dell’aglio. Io d’estate lo ammorbidisce con qualche pachino tagliati sottile.
Buona settimana con abbraccio 🦋💙
I genovesi sono noti per essere incorruttibili su pesto, invece è molto bello che ognuno se lo moduli a modo suo. Grazie
Mi hai fatto ridere: chiamiamolo “frullo ” no pesto… Hai ragione. Il nostro amato pesto…
CiaooooPaola 🥰😘😘
anche a me fa molto ridere il frullo, perchè lo chiamo pesto, ma mi co penso al significato 🙂
Grazie Paola per aver raccontato la storia e le varianti
grazie a te per essere attenta e curiosa 🙂
Molto molto interessante!
“Non è antispreco proprio perché non si sprecava niente” che meraviglia! Perchè non attingiamo alla saggezza di un tempo?
Trovo che il pesto possa rappresentare come una sorta legame universale e credo sia tra le primissime cose che ho imparato a preparare, durante le vacanze mentre aspettavo che i miei genitori tornassero dal lavoro, con il basilico che avevamo in un angolo del giardino.
Bella la tua definizione: una sorta di legame universale. Con un po’ di fantasia, è un attimo preparare una salsa gustosa e sana. Grazie Claudia
Ho letto anche la storia della nonna Vittoria. Bei ricordi. Grazie per la storia del pesto. Io ho il mortaio di marmo. Ho imparato a pestare, sembra facile ma piano piano, pesta che ti pesta, gira che gira, si vede il basilico diventare una crema. Profumo di Primavera!🌿💚👋👋
è proprio così, e ci vogliono ore
In effetti il pesto ha diverse varianti oltre a quella di Genova.
A Sitges (Catalogna) si può gustare lo xatò, un’insalata scarola con tonno, merluzzo e acciughe, alla quale viene aggiunto una sorta di pesto realizzato con peperoni, mandorle, nocciole, aglio, peperoncino, sale, olio e aceto, e infine vengono aggiunte le olivette (rigorosamente col nocciolo, perché lo xatò va gustato lentamente).
Una scikkeria.
🙂
non ho dubbi, la cucina è connessa e insieme testimonianza del territorio
Un ciao ben pestato
Grazie, ciao a te